Due sposi entrano a casa dopo le nozze come nelle fiabe. La sposa attraversa la porta tra le braccia del marito. Tutti gli oggetti sono incartati. Scartano tutto chiedendosi come sarà la loro vita insieme.
La casa che costruiscono è un ring di pugilato. Uno spazio chiuso in cui si alternano i combattimenti e le tregue di un amore che il tempo, l’abitudine, le frustrazioni e l’incapacità di comunicare faranno diventare un luogo di violenza. La violenza domestica attraversa tutte le classi sociali, è un fenomeno così diffuso quanto poco denunciato e per il quale le vittime (quasi sempre le donne e i bambini) soffrono di uno stato di impotenza estrema.
Non c’è una ragione che spieghi la violenza domestica. A quanto sembra l’intimità sessuale fa attraversare una soglia. Al di là di quella soglia il partner è vissuto come proprietà, come oggetto su cui scaricare le proprie frustrazioni. Spesso è un amore malato e frustrato, un’oscena richiesta di aiuto che si cela dietro la violenza. La donna e i figli sono vittime dell’uomo che a sua volta è vittima di sè stesso. In molti matrimoni, uomini di 80 o più chili picchiano donne di 50 o bambini di dieci o venti chili. Non esiste difesa possibile. Il ring e i regolamenti del pugilato ci permettono due metafore: non è lecito colpirsi se il peso di uno supera di sei chili il peso dell’altro, e il quadrilatero è un luogo chiuso dal quale non si esce se non sconfitti o feriti, o morti.
Nello spettacolo la violenza non è mai esplicita. Abbiamo costruito immagini e allegorie dei modi in cui la violenza si esercita tra le pareti domestiche. Il testo ha due funzioni: da le informazioni necessarie e completa le azioni senza descriverle, trasportandole verso l’immagine e la metafora. Il nostro non è un testo di denuncia. E’ un poema amaro su quanto accade troppo spesso dentro le mura domestiche.