In una affollatissima metropolitana di una grande città, Davide, un ragazzo italiano, coperto dal cappuccio della sua felpa, è pronto a farsi esplodere. Prima della bomba indaga e va alla ricerca dei motivi e delle cause che hanno portato il giovane a convertirsi all’Islam, a realizzare l’ordigno con i suoi amici Karim e Rafiq, rispettivamente un italiano convertito e un fondamentalista afgano, e a farsi saltare in aria. Un viaggio all’interno di una conversione che ha virato verso un credo più radicale ed integralista, di una crisi personale e dell’ideologia di chi voleva cambiare il mondo credendo che fosse in atto una nuova Shoah, con i musulmani al posto degli ebrei e con l’Occidente a fare la parte dei Nazisti.
L’inquadramento ideologico è molto preciso e la propaganda sembra aver fatto presa su chi, come Davide, pensava di voler cambiare il mondo. Quante sono le vittime civili, uomini, donne e bambini, che ogni giorno vengono uccise dai droni degli Stati Uniti? Quanti i musulmani innocenti che muoiono inutilmente? E per questo Davide, Karim e Rafiq sentono di dover fare qualcosa, sentono di dover aiutare i loro fratelli musulmani in nome della Ummah, la nazione islamica. Prima della bomba nasce da una serie di domande: cosa trovano i ragazzi europei nell’Islam che non riescono a trovare nella loro cultura di appartenenza? Possono le nostre conformiste società occidentali dare un nuovo spazio al dissenso giovanile? O forse sono questi giovani costretti a cercare in culture lontane dall’Occidente uno sfogo alla loro voglia di cambiare il mondo? Uno spettacolo più che mai attuale, che riflette sul senso di appartenenza, sull’esigenza di sentirsi coinvolti in qualcosa, sui giovani e sulle differenze culturali e religiose tra Oriente e Occidente.
Note dell’autore:
Di cosa parliamo quando parliamo di cronaca?
Parafrasando un titolo di Carver, mi faccio spesso questa domanda, visto che il più delle volte mi ritrovo per mia scelta a scrivere testi ispirati alla cronaca. Ma in genere le storie che si raccontano vanno oltre ai fatti, oltre a quello che sulla scena, o su uno schermo, si può definire plot. Ed è sempre lo sguardo che si nasconde dietro la cronaca la cosa che mi interessa di più.
E quindi, cosa ci dicono di noi, della nostra società, del nostro presente, cosa ci raccontano i piccoli o grandi fatti della cronaca di tutti i giorni?
Certo, Prima della bomba può sembrare una sorta di instant play su un tema scottante: l’integralismo islamico, gli attentati che hanno colpito Parigi, Bruxelles, Nizza. Eppure lo spettacolo, di cui cominciai a ragionare con César Brie ancor prima dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, parla di terrorismo solo marginalmente. Quello che volevo cercare di indagare scrivendo questo testo, era il motivo per il quale l’islam sembra essere così sorprendentemente affascinante per un numero non irrilevante di ragazzi e ragazze occidentali.
Cosa trovano alcuni europei nell’Islam che non riescono a trovare nella loro cultura di appartenenza? E se la questione non fosse lo scontro tra religioni?
E ancora, quali sono le vie per esprimere il dissenso all’interno delle nostre società post capitaliste? Esiste la possibilità di uscire dai canali della conformità del pensiero e degli stili di vita? C’è lo spazio nella nostra cultura per dare nuovamente sfogo al dissenso? A un mondo interiore e personale?
Tutte domande senza risposta, che nella stesura del testo hanno spostato il fuoco dal piano del terrorismo e dell’integralismo, a quello della spiritualità in occidente e dello spazio che il lato spirituale dell’essere umano riesce (o non riesce…) ancora a trovare in un mondo globalizzato.
César Brie
Attore e regista argentino, cofondatore nel 1972 della Comuna Baires, fugge a Milano nel 1974 a causa delle persecuzioni operate contro la Comuna dai paramilitari che agivano prima della dittatura.
Nel 1975 lavora a Milano nel Centro Sociale Isola; dove nel 78 realizzerà A Rincorrere il Sole, opera che anticipa la fine del movimento giovanile. Negli anni 80 lavora con Iben Nagel Rasmussen nel gruppo Farfa e l’Odin Teatret.
Fonda nel 91 in Bolivia il Teatro de Los Andes, col quale realizza opere che partono dalla storia o dai classici, ma calate profondamente nell’attualità. Nel 2010 lascia la Bolivia, dopo le minacce ricevute a causa dei documentari Umiliati e Offesi e Tahuamanu, sui fatti razzisti di Sucre e il massacro di Pando, nella giungla boliviana. Oggi lavora tra l’Italia e l’Argentina. Tra le sue opere: Il mare in tasca, I Sandali del Tempo, L’Iliade, L’Odissea, Albero senza ombra, Karamazov, La Volontà, Ero e la regia di Viva l’Italia.